RIFLESSIONI DI UNA MAMMA PSICOTERAPEUTA

Con un po’ di apprensione e visibilmente emozionata esco di casa mano nella mano con mia figlia, la mia piccola grande bambina di quasi sei anni, per accompagnarla alla tanto attesa festa dei primini. Ha iniziato la prima elementare da due settimane e io non mi so capacitare di come sia potuto succedere. Mi guardo indietro di pochissimo e rivedo me stessa alle scuole elementari, recupero i primi ricordi delle tappe miliari della mia vita di relazione, la prima grande amicizia, la mia Maestra… Mi rendo conto in questi momenti di quanto un figlio riesca a farti rivivere con potenza i primi vissuti, le esperienze importanti della tua infanzia, belle e brutte. Si dice spesso, ed è certamente vero, che l’esperienza della genitorialità sia in grado di catapultare con forza le persone al pensiero della morte o alla paura di perdere, ma è anche vero che è altrettanto in grado di farci rivisitare con il ricordo e attraverso i sentimenti strade già percorse nella vita. Credo che questo sia un aspetto prezioso, importante, ma altrettanto delicato da maneggiare nel rapporto con un figlio.

Arrivo alla festa con la mia bambina, la guardo con un po’ di trepidazione. È timida, spaventata, ma anche molto orgogliosa ed emozionata di far parte di questa nuova dimensione. Nella confusione di bambini e genitori mi avvicino a un banchetto del “Comitato dei genitori” della scuola, che ha organizzato la festa insieme a tanti altri eventi. Con curiosità osservo tutte le attività proposte, questi genitori così coinvolti, partecipi, generosi nel donare il loro tempo e le loro energie. Per chi lo fanno? Per la scuola, per i bambini, forse anche un po’ per se stessi? Con sincero interesse mi avvicino a una di queste mamme per chiedere informazioni su come iscrivere mia figlia al gioco dell’oca che si terrà tra poco e lei mi risponde con una domanda: “Tu sei primina?”. Stop. Sulle prime resto senza parole per qualche secondo, poi faccio mostra della mia ironia e sorridendo specifico che io la prima elementare l’ho già fatta 30 anni fa e non ci tengo a ripeterla. Dopodiché però, vedendo la faccia un po’ risentita di lei che mi risponde: “Ma sì, dicevo così per semplificare…”, mi viene da pensare che queste cose non vadano proprio semplificate. Le parole hanno un peso, penso, e i miei pensieri tornano ai tanti messaggi ricevuti nel neonato gruppo whatsapp dei genitori della classe con richieste su come vada eseguito un compito, il primo compito ricevuto dai bambini. Ma perchè un bambino non deve essere libero di capire male la consegna di un compito, svolgerlo in modo errato e farsi dire dall’insegnante che non ha capito bene come andava fatto? Perchè, con quale diritto, noi genitori vogliamo o pensiamo di poterci sostituire ai nostri figli nelle esperienze della vita e in particolare in quelle di possibili fallimenti, frustrazioni, errori che cerchiamo di annullare ed evitare come se fossero dannosi e nocivi? Ok Cecilia fermati, stai facendo la psicoterapeuta un’altra volta, ti stai dimenticando di essere anche tu una mamma con tante incertezze e paure. Sei alla festa dei primini della tua primogenita, sei una mamma come le altre, come le mamme del Comitato dei genitori, ferma il pensiero.

E’ vero, lo so, peraltro devo confessare che neanche io sono stata né sono esente dai delicati investimenti che attraversano i genitori di un primo figlio. I secondi certo hanno altri complessi passaggi di cui occuparsi, o almeno così penso guardando alla mia esperienza di genitore, ma con un primogenito questa cosa succede e non c’è niente da fare. Al suo arrivo, il primo figlio occupa uno spazio solo suo nella mente e nel cuore del neo genitore. “Dove ero io prima di arrivare nella tua pancia?”, mi sono sentita chiedere tante volte. “Nel nostro cuoricino”, le rispondo sempre. “Ma ero davvero lì dentro il cuore?” Non sai quanto tesoro, anzi forse anche troppo! Li amiamo, li guardiamo, li pensiamo tanto (troppo?), riponiamo in loro le nostre aspettative anche quando non lo vogliamo fare. E quando un primo figlio (o come spesso succede in particolare se si tratta di una prima figlia) è bravo, risponde alle richieste, segue il suo percorso evolutivo nei tempi previsti o ancor più velocemente e tutti lo osannano per la sua bravura, questo meccanismo diventa ancora più complesso. Ci aspettiamo da questo bambino così bello, amato, bravo, dedito a soddisfare inconsciamente i nostri bisogni, che continui a farlo sempre e senza accorgercene facciamo di tutto perchè questo succeda, in alcuni casi quasi sostituendoci a lui o a lei.

Prime tracce di questa dinamica si osservano a volte con le prime tappe dello sviluppo. “Stiamo imparando a camminare!”; “Abbiamo fatto la pappa!”; “Stiamo iniziando a dire le prime parole!”. Il plurale dei genitori rispetto alle questioni della vita dei figli mi ha sempre provocato una certa irritazione. Ecco, mi sento di poter dire con una punta di orgoglio di essere stata finora esente da questo modo di comunicare. Per non parlare di quella specialissima forma verbale che troppo spesso si sente utilizzare alle mamme: “Non mi mangia!”; “Di pomeriggio mi dorme due ore!”. Irritazione 2.0. Sì, sono esagerata, probabilmente è vero e lo so, ma continuo a pensare che le parole abbiano un senso e un peso e, se sento questo fastidio, forse è per quello che queste espressioni rappresentano o rischiano di diventare. Credo anche per via di quello che poi vedo nel mio studio quando incontro gli adolescenti (mannaggia ancora). Ragazzi fragili anche perchè non abituati a sbagliare da soli, che non hanno ricevuto alcuna educazione al fallimento perchè ogni fallimento è stato loro evitato prima che potesse verificarsi.

Quando ero ancora in formazione e iniziavo il mio lavoro di psicoterapeuta di adolescenti, la neuropsichiatra illuminata con cui mi sono formata mi ha insegnato molto, ma la cosa che le devo maggiormente è avermi insegnato a “salvare” i genitori. A capire le loro fatiche e non giudicare i loro errori, cosa che per una giovane psicoterapeuta senza figli non è affatto semplice. Mi sembrava così insopportabile che un genitore mi telefonasse per indicarmi cosa scrivere nella relazione per la scuola di suo figlio che a volte avrei voluto rispondere: “Senta, ma allora la scriva lei!”. Qualche volta ci sono andata vicino. Solo con il tempo ho imparato a sentire davvero, non solo con la testa ma anche con la pancia, la fatica, l’ansia, il terrore di sbagliare e la paura dei genitori. Sensazione che naturalmente ho compreso ancora meglio quando sono diventata mamma.

Qualche generazione fa da questo punto di vista le cose erano un po’ più semplici. Nella famiglia normativa genitori e figli avevano spazi diversi e chiaramente definiti, certo a volte con alcune mancanze e analfabetizzazioni emotive spesso pagate dai bambini nel corso dello sviluppo, ma sono certa che il racconto di un genitore che va a lamentarsi con il professore perchè ha dato una nota al figlio, fragile e da proteggere, sarebbe stato pura fantascienza. Oggi siamo più capaci di emozionarci davanti ai nostri figli e anche di parlare con loro di emozioni e sentimenti, il che è sicuramente un aspetto importante e positivo per il loro sviluppo. Ma siamo al contempo meno capaci di definire i confini dei rapporti verticali, che è giusto che siano e rimangano verticali. E credo che siamo anche un po’ meno capaci (forse più spaventati?) di stare nel nostro spazio tollerando le fatiche, le delusioni, i fallimenti e i dolori dei figli, che sono strazianti perchè si fanno sentire nel cuore e nella pelle come e più che nel caso in cui fossero nostri. Ci sentiamo impotenti e forse anche noi stessi fallimentari come genitori. Penso davvero che il mestiere del genitore sia il più faticoso del mondo (del resto Freud, che la sapeva lunga, parlava di tre mestieri impossibili, cioè educare, governare e curare…) e non voglio che alcune considerazioni suonino come giudicanti; ritengo altresì che, proprio per la responsabilità genitoriale che abbiamo, siamo chiamati sempre a riflettere su alcune questioni importanti.

Cresciamo dei figli sicuramente più sensibili e emotivamente capaci di come succedeva in passato, ma come effetto collaterale li rendiamo così fragili da essere a volte senza pelle di fronte alle frustrazioni e incapaci di sentire, rispettare, avere un po’ di sano timore perchè no dei rapporti verticali. Che nella vita esistono, servono, proteggono, contengono. Li amiamo e ci rispecchiamo in loro talmente tanto che non li rendiamo poi capaci di non aderire alle nostre aspettative nella fase della vita in cui dovranno farlo, cioè durante l’adolescenza, quando i figli per statuto e come parte del processo evolutivo dovrebbero poter deludere le aspettative genitoriali.

Ma torniamo alla mia esperienza di mamma. Una cosa in questi primi sei anni mi ha sinceramente colpito e turbato: i gruppi whatsapp dei genitori. È vero, tutti lo dicono, tutti ne parlano spesso con sdegno, ma poi perchè continuano a esistere e a essere così? Quando i miei figli erano entrambi alla scuola materna ho avuto due esperienze molto diverse di gruppi whatsapp: uno dei gruppi era un lamentatoio di genitori arrabbiati, frustrati, bisognosi di trovare consensi tra loro rispetto a chissà quale sfiducia e paura nella gestione scolastica dei loro bambini. Gestione scolastica, per la cronaca, che io ho sempre trovato sinceramente molto buona. Messaggi invadenti, ingombranti, a ogni ora del giorno e della sera, a commento di ogni scelta educativa e non, messaggi che non lasciavano spazio alle educatrici di fare il loro lavoro, ma soprattutto ai bambini di fare la loro esperienza. A scuola. Da soli. L’altra classe era rappresentata da due papà, uno di questi mio marito, motivo per me di grande orgoglio. Credo non sia un caso che quel gruppo whatsapp sia sempre stato ordinato, rispettoso, silenzioso. Un gruppo in cui venivano passate le comunicazioni e stop, così come deve essere. Gli uomini sono generalmente più bravi in questo: nel rispetto dei confini, nella leggerezza quando serve e in genere anche nel silenzio. E allora perchè non vengono valorizzati e richiesti maggiormente? Perchè per anni, e a volte ancora ora, i gruppi whatsapp dei genitori sono stati chiamati “gruppi delle mamme”? Di recente ho sentito una iniziativa interessante di un papà rappresentante di classe della figlia di alcuni amici: ha creato un gruppo in cui può scrivere solo lui, girando al gruppo i messaggi delle maestre senza ulteriori commenti. Pare che funzioni bene e credo possa creare una comunicazione sobria e rispettosa dell’istituzione scolastica. Credo che alcuni aspetti pericolosi di questi gruppi si possano scorgere già dalla scuola materna ma diventino molto più evidenti a partire dalle scuole elementari. L’esperienza rispetto alle domande su come fare il compito nella classe di mia figlia mi ha fatto pensare. Nel caso specifico, la maestra aveva fatto copiare ai bambini sul diario le indicazioni su come fare il compito. Mia figlia aveva scritto male le indicazioni e ne era uscita una frase illeggibile. Io quindi, senza il gruppo whatsapp, non avrei saputo che compiti andavano fatti. Probabilmente avrebbe fatto quello che si fosse ricordata dall’indicazione data in classe, forse giusto o forse sbagliato ma senza il mio intervento. E se fosse stato scorretto la maestra le avrebbe spiegato perchè non aveva capito bene e cosa aveva sbagliato a scrivere sul diario. Avrebbe imparato qualcosa di importante. Una occasione persa per via del gruppo whatsapp, dal momento che purtroppo anche io, dimenticando le mie riflessioni da terapeuta, una volta che ho letto quale era il compito da fare non sono riuscita a non darle indicazioni su come procedere. Mi pare che questo tipo di comunicazioni tra i genitori contenga una valenza di controllo sottilmente prepotente, inconsapevole certamente, ma un po’ invadente di quello spazio esterno alla famiglia in cui i bambini devono poter incominciare a muoversi. Un conto è controllare i compiti dopo che sono stati fatti, sincerarsi del fatto che vengano eseguiti, aiutare i nostri figli a capire l’importanza e anche la bellezza dello scoprire e imparare cose nuove, diverso è farlo al posto loro, cancellare ogni possibilità di errore prima che ci sia. Forse a volte non abbiamo in mente che, andando avanti, questo sarà un aspetto molto complesso e delicato per la vita dei nostri figli.

Per riassumere, sono due gli aspetti su cui sto riflettendo e di cui ho scritto qualche pensiero, diversi ma che spesso si intrecciano tra loro: il modo in cui siamo tentati spesso di sostituirci ai nostri figli e il modo in cui cerchiamo di proteggerli da ogni frustrazione, fallimento, dolore. Entrambe tendenze credo accentuate negli ultimi anni e in continua crescita insieme ai loro effetti collaterali, a volte visibili già nei bambini, più spesso chiaramente evidenti durante l’adolescenza.

Quindi, per rispondere in maniera più seria, articolata e meno sarcastica alla mamma del comitato genitori che mi chiede se sono una primina: “No, non sono una primina. Mia mia figlia sta frequentando la prima elementare: guardarla entrare a scuola mi emoziona al punto da togliermi il respiro e so che questo succede anche perchè rivedo me stessa bambina, con una cartella più grande di me, che cammino quei passi che mi hanno portato dove sono oggi senza ancora sapere quello che ci sarà tra lì e qui. E siccome sono sinceramente grata ai miei genitori per non avermi tolto la possibilità di sbagliare, ti dico che no, io non frequento la prima elementare e nessuno di noi genitori dovrebbe frequentarla. E so che lo dicevi per semplificare ma queste sono le cose che non vanno semplificate, perchè di semplice non hanno proprio niente ed è giusto che sia così.”