Esperienze di utilizzo della musica nella clinica con gli adolescenti

L'esperienza in Esagramma

Dopo aver frequentato un corso biennale di terapeutica musicale ho avuto l’opportunità di lavorare un anno per la Cooperativa Esagramma, centro di clinica, ricerca e formazione per il disagio psichico e mentale che propone a ragazzi con disabilità fisica e psichica percorsi triennali di musicoterapia orchestrale. Questi percorsi prevedono incontri di gruppo settimanali in cui ragazzi con disabilità diverse si trovano coinvolti insieme a educatori e musicisti in piccoli gruppi orchestrali integrati. Durante gli incontri si eseguono con gli strumenti dell’orchestra (contrabbassi, violoncelli, violini, timpani e piatti, campane tubolari, vibrafono, marimba, xilofono, arpe e piccole percussioni) brani classici arrangiati ad hoc; il percorso prevede che alla fine dei tre anni i gruppi riuniti eseguano insieme una sinfonia. In ogni gruppo c’è un conduttore, che ha il ruolo di direttore d’orchestra, e un pianista che sostiene e accompagna l’esecuzione. Ogni ragazzo, affiancato da un educatore, impara gradualmente i gesti principali per suonare gli strumenti (naturalmente in base alle proprie possibilità), le principali capacità esecutive d’insieme e la produzione di fatti musicali di ampio respiro.

L’esperienza in Esagramma mi ha permesso di toccare con mano le straordinarie potenzialità della musica come strumento espressivo, ma soprattutto il forte significato terapeutico del fare musica insieme e dell’essere sempre, attraverso la musica, in relazione con gli altri. Ho lavorato con un gruppo di ragazzi adolescenti già al terzo anno, che quindi ho accompagnato anche al concerto sinfonico di fine anno. I ragazzi che seguivo avevano disabilità di vario genere: tre gravi forme di autismo, una trisomia 21, una sindrome di Angelman. Ho iniziato a lavorare nel piccolo gruppo come pianista, per poi cedere questo posto a una collega, affiancando invece i ragazzi agli strumenti come educatrice, ruolo che ho trovato più interessante, stimolante e vicino alle mie aspirazioni. Ricordo lo spiazzamento iniziale, quando mi trovavo a dover suonare e affiancare un ragazzo nel suonare strumenti assolutamente nuovi per me: con un violino in mano mi sentivo al pari con lui, anch’io un po’ disabile nell’utilizzo dello strumento. Con il passare dei mesi, fino al concerto finale, ho potuto vivere con i ragazzi la magia, ma anche la potenza, dell’esperienza che stavamo facendo insieme. Fare musica all’interno del gruppo riusciva a mettere in contatto persone che non erano in grado di comunicare verbalmente. In sostanza, come sostiene Andreoli, “Il bello dell’insieme orchestrale è che ogni elemento si lega all’altro e tutti sono in funzione dell’insieme” (Andreoli, 2005, p. 6). In questo contesto, trovo fondamentale la scelta di utilizzare strumenti “veri”, professionali, di includere nel repertorio “musica colta” e di coinvolgere musicisti competenti, dando così valore agli aspetti espressivi e musicali di tutto il lavoro fatto insieme. L’orchestra sinfonica integrata tra musicisti professionisti, educatori musicisti e non musicisti, ragazzi con deficit fisici e psichici è un gruppo a tutti gli effetti occupato dal lavoro musicale. Mentre l’orchestra è impegnata nel compito del fare musica, la musica stessa fa l’orchestra: i suoni del gruppo creano e arricchiscono l’esperienza di tutto il gruppo e “l’armonia dei suoni dispone alla percezione e al pensiero della qualità dei legami della generano. Evoca la felicità di una sintonia affettiva delle parti umane, in termini che vanno ben oltre la realtà effettiva dei rapporti personali esistenti” (Sbattella, 2006, p. 28).

Il gruppo a mediazione musicale

Dopo una lunga e faticosa elaborazione e preparazione, nel 2015 sono riuscita ad attivare, presso l'Ambulatorio Adolescenti dell'Ospedale Niguarda per il quale collaboravo, un gruppo co-condotto da me e da una collega e costituito da 6 ragazzini di età compresa tra i 13 e i 16 anni. Gli incontri, a cadenza settimanale, sono iniziati a settembre 2015 per concludersi a giugno 2016.

Nel gruppo la musica veniva utilizzata come elemento mediatore. Durante ogni ascolto i ragazzi erano invitati a pensare a quali immagini, storie, pensieri il brano musicale evocava e, a seguito del confronto, si lavorava insieme sulle immagini del gruppo e sui temi suggeriti dalla musica. La musica veniva quindi utilizzata come strumento espressivo in grado di facilitare lo sviluppo del pensiero associativo e la condivisione dei contenuti.

Nel corso dell’anno, i nostri incontri settimanali si sono sempre più configurati come un'esperienza in cui la condivisione dei brani proposti dai ragazzi stessi, dei loro commenti o delle immagini suggerite dalla musica, così come dei silenzi ed esitazioni, diventava un contenitore prezioso di emozioni o possibili agiti e poteva gradualmente agevolare la formazione di uno spazio di pensiero. Uno spazio mentale e relazionale che si costruisce a poco a poco tra i partecipanti, possibile deposito di stati emozionali troppo angosciosi se vissuti in solitudine: la musica e la dimensione gruppale diventano così due elementi efficaci per intercettare e prevenire agiti o emergenze cliniche.

La condivisione della musica nel gruppo assume la doppia valenza terapeutica di rafforzare il senso di identità e fornire uno strumento espressivo nuovo e alternativo a quello verbale. Questo aspetto è estremamente importante soprattutto per quei ragazzi che hanno difficoltà di espressione delle emozioni, come i ragazzi del nostro gruppo: la musica offre all’adolescente la possibilità di entrare in contatto e condividere con i coetanei sentimenti complessi da simbolizzare come rabbia, dolore, solitudine e paura. Nella nostra esperienza con il gruppo di adolescenti l’apporto della musica è stato ancor più potente perché all’interno di quella dinamica gruppale in cui la voce dell’uno rappresenta anche l’aspetto di un altro, in una partecipe e reciproca risonanza. Il gruppo riesce così a costituire quello spazio possibile ove, insieme, si può parlare di paure, tristezze o angosce, ma anche di futuro e possibilità trasformative.

Durante i primi incontri del gruppo io e Giulia, co-conduttrice del gruppo, siamo rimaste colpite da quanto le difficoltà relazionali della maggior parte dei ragazzi, pur emergendo con evidenza, sembrassero essere appianate nella dinamica gruppale. Molti ragazzi che avevamo visto individualmente e che pensavamo non sarebbero riusciti a parlare davanti ai coetanei sono riusciti a esprimere se stessi all'interno del gruppo, probabilmente anche grazie alla facilitazione della musica come elemento mediatore. Durante i primi incontri i brani proposti dai ragazzi hanno fatto emergere tematiche relative alle questioni identitarie: la difficoltà dell'incontro e del contatto, il conflitto tra pieno e vuoto, tra dentro e fuori, tra la confusione dei pensieri e lo smarrimento del senso di vuoto. I ragazzi sono riusciti a dare voce a elementi altrimenti troppo difficili da verbalizzare quali la rabbia, la paura e la tristezza. La musica ha iniziato molto rapidamente e bruscamente a offrirsi come strumento di incontro e i ragazzi hanno trovato, sopra ogni nostra aspettativa, lo spazio per ascoltare, ascoltarsi e incontrarsi.

L’apertura di canali emotivi, di pensiero e di comportamento nuovi ha aiutato i ragazzi del gruppo a sperimentare nuovi modi di essere e nuovi ruoli di responsabilità all’interno del gruppo, dove ogni genere, ogni brano e ogni suono è fondamentale e imprescindibile, ma assume valore e significato solo nell’insieme di tutti i suoni.

Riflessioni conclusive

Aldilà degli utilizzi specifici della musica come strumento terapeutico, per accedere ai quali è necessario padroneggiare specifiche componenti del linguaggio musicale e delle questioni che riguardano la terapeutica musicale, credo che sia importante valorizzare sempre quando possibile l'utilizzo della musica come strumento terapeutico con gli adolescenti.

Come sottolinea Ferro, “vi sono libelli assolutamente preverbali e pre-simbolici che si basano sugli aspetti proto relazionali ed estremamente arcaici che hanno a che fare col suono, col ritmo, con le pause, col calore, con la freddezza, con la durezza, con la ripetitività, con le filastrocche, con gli aspetti diciamo in qualche modo poetici, ritmici, musicali della comunicazione e questi costituiscono realmente la base fondamentale di ogni comunicazione, di ogni trasformazione significativa in analisi” (Ferro, 2014, p. 8). Il lavoro attraverso la musica e i brani musicali consente l’accesso al mondo pre-verbale presente in ogni paziente, la sintonizzazione sul quale è importante e fondamentale in terapia. Bion stesso (1967) esortava l’analista a non attenersi unicamente alla parte verbalmente comunicabile dell’esperienza analitica e ad andare oltre lo spettro.

La musica entra spesso nelle sedute di psicoterapia dei ragazzi: di frequente raccontano spontaneamente di cantanti che amano, concerti che andranno a sentire, idoli con cui si identificano. E’ interessante, in alcuni casi, poter ascoltare i brani di cui i ragazzi parlano, per riflettere insieme sul sentire che evocano, sul ritmo e sui loro testi in cui i ragazzi si identificano. L’ascolto di un brano musicale può favorire così rappresentazioni e costituirsi come un buon oggetto transizionale all’interno della relazione.

Sono convinta che in tante situazioni, e in adolescenza in particolare, la ricchezza e il potere dei suoni siano dovuti a ciò che così semplicemente e così chiaramente esprime il poeta tedesco Heinrich Heine: “Dove le parole finiscono, inizia la musica”.

BIBLIOGRAFIA

Andreoli, V. (2005). Lettera alla tua famiglia. Milano: BUR.

Bion, W. R. (1967). Il gemello immaginario in Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Roma: Armando.

Ferro, A. (2014). Prefazione da Salomonsson, B. (2014). Terapia psicoanalitica con bambini e genitori. Milano: Mimesis.

Sbattella, L. (2006). La mente orchestra. Milano: Vita e Pensiero.